lunedì 19 dicembre 2011
Sensi
lunedì 21 novembre 2011
Ci sarà una volta
Cara principessa, ho viaggiato per centinaia di miglia sul mio cavallo ormai esausto e non più tanto bianco per raggiungere questo posto. Lo trovai che era un puledro selvaggio, ma dedicandomi sono riuscito a domarlo e diventarne amico, ed ora dovrò rassicurarlo quando dovrà portare te sul dorso perchè non trovi insolita la cosa. Qui vorrei costruire un castello per te, come quella volta che ne feci uno di carte che a te piaceva tanto, perchè ci misi tanto amore nel farlo che ti sembrava il più bello del mondo. Ma quando si mise a piovere lo perdemmo, e ci rimanesti davvero male. Ed ora hai paura mentre mi vedi cercare ovunque delle rocce solide che possano farci da mura, perchè quando ti portarono in un castello di pietra questo crollò, rischiando di farti troppo male. Ma questo in fondo è il destino delle principesse, rinchiuse in una torre sorvegliata da un drago. Un drago che poi non saprebbe che farsene di una principessa, ma resta lì in attesa del prossimo cavaliere con l'armatura scintillante e lo scudo su cui trionfa lo stemma nobiliare. E quel drago ne ha bruciati tanti, finchè io non sono arrivato col mio elmetto di cartone, ed ho aspettato a lungo che arrivasse il momento buono per portarti via senza che lui potesse accorgersene. Dolce principessa, ti diranno che sei capricciosa, ma so io qual è la verità, ed il motivo per cui venisti con me, che non avevo niente di nobile se non la volontà ed il cuore. Le fanciulle come te talvolta si comportano come il ruolo gli impone, ma quasi mai lo fanno di loro volontà, e capirlo era il segreto per affrontare la prova senza paura. Gli altri cavalieri impavidamente ridevano, ma chissà quanti di loro avrebbero veramente avuto il coraggio di rischiare tra le fiamme per te. Io sarei pronto a sfidare il drago anche se probabilmente non ne sono capace, ma il cuore di un uomo non si misura solo con la sua spada, e questo l'ho capito riflettendomi nei tuoi occhi. Bella principessa, dagli occhi di topazio e i capelli di filo d'oro, tanta è stata la paura di rimanere rinchiusa in quella torre che chiedi ancora di essere salvata anche se qui non corri più pericoli, perchè il drago che non ha più la sua prigioniera svanisce con la prima luce dell'alba e non torna più, ma tu lo vedi ancora in sogno e non ti senti sicura neanche adesso che puoi dimenticare la tua prigione. Adorata principessa, che forse hai un pizzico di nostalgia di quando aspettavi il tuo salvatore, tanto che la tua libertà ti suona come una lira scordata e non ricordi più quale melodia avevi in mente. Vorrei suonare per te e rimettere ogni nota al suo posto, ma soffia ancora un vento forte che disperde il suono, e il tuo sguardo rimane lì fisso a vedere le mie mani muoversi per comporre una canzone ancora muta. Cara principessa, ci sono ancora delle pagine da sfogliare prima del lieto fine, ma chi le sfoglia troppo in fretta finisce per perdere il filo e deve ricominciare tutto daccapo. Ma io non temo, perchè c'era una volta, ma ce ne sarà una migliore.
La sai una cosa?
- Per fare canestro bisogna rilassare le spalle, piegare leggermente le ginocchia, concentrarsi sulla traiettoria della palla, respirare piano e a fondo, e quando si è perfettamente sicuri di dove andrà a finire il tiro, scoccarlo. Il più è farlo velocemente.
- Sono un Grizzly, un orso dal manto bruno e dagli artigli particolarmente importanti che aggredisce l'uomo che gli da da mangiare. Non è cattiveria, ma devo imparare ad essere meno diffidente, altrimenti è inutile che rompo il cazzo con l'estinzione.
- Un cavallo preferisce scappare fino a morire di crepacuore che voltarsi indietro e vedere cosa lo ha spaventato. Personalmente, per quanto ami gli animali, ritengo i cavalli degli idioti.
- In molte (tutte?) palestre, se non ti rompi il naso in combattimento, te lo rompono loro. Quindi, se vuoi fare il pugile, il naso te lo devi rompere in ogni caso.
- L'informatica, o meglio l'elettronica in generale, è basata su un insieme infinito di uno e zero. E basta. Non esiste altro, uno-zero, acceso-spento. Il resto è l'arte del combinarli.
- Secondo una statistica personalmente condotta nella mia testa, ci sono due tipi di piloti: quelli che si ritirano dopo il primo incidente, e quelli che si ritirano dopo l'ultimo.
Speriamo di aver imparato molto in questi mesi di puro orrore, visto che ne ho almeno un altro davanti.
martedì 15 novembre 2011
Qualcuno chiami un antennista
Chi di voi è nato prima della metà degli anni ottanta avrà sicuramente un ricordo abbastanza nitido del televisore nel quale ha visto scorrere i cartoni animati che hanno segnato la sua infanzia. Quei cassoni in legno o finta radica, pieni di pulsanti e manopole gigantesche e pesanti come macigni, avevano un fascino tutto particolare, paragonabile a quello di un caminetto del quale sostituivano la funzione sociale, e talvolta anche quella pratica, vista la facilità con cui la componentistica interna si scaldava e prendeva fuoco.
Vi ricorderete senz'altro anche le difficoltà nel sintonizzare i canali, la mancata ricezione di alcuni, la pessima qualità dell'immagine di altri, ed una generale nebbiolina alla quale si faceva l'occhio ma che in epoca di canali digitali e satellitari ci pare inammissibile. Eppure passavamo ore davanti a quella dannata trappola, cercando di costruire i nostri sogni su quelle immagini e quei suoni, sui campi da calcio infiniti di Holly e Benji e sulle divise colorate di Giochi Senza Frontiere, su pupazzi che presentavano programmi per bambini ed altri pupazzi che presentavano quelli per adulti (chi ha detto "cin cin"?).
Guardandomi allo specchio ieri mi sono sentito un po' come una tv dei primi anni ottanta. Un sacco di bei programmi, una struttura esterna solida, ma con i componenti che si surriscaldano troppo facilmente ed una ricezione pessima, specie sui canali che in questo momento sono più importanti.
Perciò ho bisogno con urgenza di un'antennista che rimetta tutto in sesto e dia anche una rinnovata alla scheda elettronica, altrimenti mi perdo l'ultima puntata del mio telefilm preferito, e potrei non perdonarmelo.
martedì 18 ottobre 2011
Il luogo comune - parte 1 (saggio divulgativo noioso anzichenò)
domenica 9 ottobre 2011
Non è mai tardi
Tutto cominciò quando un giorno ci rendemmo conto che eravamo importanti l'uno per l'altra. E vorrei che chi legge si fermasse e ripetesse a voce alta: "Importanti l'uno per l'altra". Non simbiotici, che come parola fa pure schifo, ma importanti come i cucchiai in un ristorante che serve solo consommè. Bel paragone, bravo. Grazie. Andiamo avanti.
Capimmo poco a poco, ma in maniera sempre più consistente, che c'era un motivo se non potevamo mai tagliare i ponti. Non capivamo quale, ma era già qualcosa. Passava il tempo, volevamo farci delle promesse ma non avremmo potuto mantenerle per cause praticamente sempre indipendenti dalla nostra volontà, perciò ci limitavamo a farci forza per superare il tempo e la distanza, gli ostacoli più grandi. E pure i più stronzi.
Si litigò, non ci si rivolse la parola per qualche tempo, si pianse, si rise, si cucirono dei "magari" e dei "mi piacerebbe" con l'ago della speranza ed il filo della passione, ci si concentrò a fondo e ci si dimenticò per qualche ora. Ma mai, mai, MAI (mai), ci si mancò di rispetto.
Il lettore attento (quello che non è ancora svenuto, falcidiato dallo stile seghettato e delirante di questo post) avrà da obiettare che è molto facile quando passioni, carattere etc. sono simili. Gli darò il colpo di grazia dicendo che no, in questo caso non sono poi così simili. Ed allora dove voglio andare a parare? In porta? Risposta scontata, ed inesatta.
La cosa meravigliosa è che ancora non sapevamo come integrarci per bene, però intuivamo di poterlo fare. Ecco, questa è quasi magia, Johnny: sentire a distanza che le cose possono funzionare se ci si crede, e se ci si mette a disposizione. Ammetto di averci messo parecchio a ricevere chiaramente il segnale, sebbene a mia parziale discolpa ci siano state delle interferenze fastidiose. Ma se il post si intitola "Non è mai tardi" ci sarà anche uno straccio di motivo.
E con un salto quantico che neanche Kubrick dal paleolitico alle astronavi, mi sono ritrovato seduto sulla poltrona di un treno, con la mia bella musica a palla che a malapena riuscivo a sentire, coperta com'era da pensieri rumorosi come una cascata. Difatti, se dovessi scrivere qualcosa solo sul viaggio, la intitolerei "L'iPod sotto al Niagara". Anche se non ho un iPod.
Durante quelle ore di viaggio ho provato a ripercorrere pensieri, parole, opere ed omissioni (soprattutto quelle) del nostro passato. Mi sono trovato di fronte ad un mosaico dalla bellezza sconcertante, una di quelle bellezze che è difficile comprendere appieno, ma che andava completato mettendo i tasselli giusti al posto giusto. Un errore sarebbe significato rovinarlo, ed in quel momento ho pensato ai grandi artisti che hanno completato le loro opere basandosi soprattutto su calma, pazienza ed estrema attenzione ad ogni singolo movimento.
Tutto questo ovviamente finchè non sono sceso dal treno e non l'ho vista. Come spesso nella vita capita quando si abbandonano le insicurezze, i tasselli hanno iniziato a prendere forma e posizione da soli, secondo dopo secondo. Durante quei momenti forse non lo realizzavo pienamente, ma di sicuro lo capivo: mi era bastato leggere nei suoi occhi, nella sua voce, nei suoi movimenti, per concludere che ero davvero pazzo di lei. Si trattava solo di darci il tempo di capire che era tutto vero.
Ed intanto ero lì che cercavo di intuire quello che lei pensava, un po' ansioso per la paura di non piacerle, ma allo stesso tempo ferocemente desideroso di dimostrarle che non è un bluff: sono davvero quello che lei spera che io sia, e man mano ho cercato di uscire dal mio maledetto guscio prima di far diventare il nostro incontro una frittata.
Certo che tutto è incredibilmente semplice quando i tuoi occhi si tuffano dentro altri due che hanno il colore dei campi in primavera e del cielo sereno dopo la pioggia. Ancor di più quando in quegli occhi leggi una voglia di amare indomita nonostante il passato, che aspetta solo chi possa prendersi cura di lei e ricambiare con altrettanta forza. Ed io forza ne possiedo, ben oltre le mie più rosee aspettative.
E' stato palese quando vedendo cadere da quegli occhi una lacrima, l'ho osservata scendere lungo la guancia ed ho sentito il mio corpo proteso in avanti, pronto a buttarsi per prenderla prima che arrivasse al suolo perchè le sue paure e le sue sofferenze non si diffondessero nella terra ma si spegnessero nelle mie mani.
Ma ciò che mi ha dato la vera certezza, la vera prova e controprova che tutto ciò che sentivo era stupendamente vero, è stata paradossalmente la sua assenza. Sono state quelle ore in cui non sono riuscito ad averla davanti agli occhi, in cui non potevo darle un bacio o farle una carezza, o camminare mano nella mano con lei. Una sensazione di vuoto dentro che neanche un digiuno di una settimana mi avrebbe dato, un ritorno ai primordi, come quando da bambino ti strappano la cosa alla quale sei più affezionato ed il tuo mondo ancora giovane crolla fragorosamente. Forse sono davvero tornato più giovane in quell'attimo in cui vedendola andare via il mio cuore batteva forte chiedendosi cosa sarebbe successo dopo, come succedeva ai tempi delle scuole dopo aver parlato con la ragazza del terzo banco che ti piaceva tanto.
E sono diventato più vecchio quando mi sono reso conto che in un secondo era passato tutto il nostro tempo a disposizione, ed anche correre accanto, io sul treno, lei sul marciapiede dei binari, non sarebbe servito ad allungare il nostro momento. Allo stesso modo però, non è bastato neanche a tenerci lontani. Non ci riuscirà, finchè ci renderemo conto che per vederci ancora non è mai tardi.
mercoledì 5 ottobre 2011
Le ragazze ISO 7482-1:1998
Così ho buttato dentro la borsa dell'ultimo viaggio un blocco di fogli a quadretti A4 comodamente strappabili (nel caso scriva qualche puttanata, ovvero praticamente sempre) ed una penna blu perchè quella nera la associo alla compilazione dei documenti. Fossero tutti così i problemi della vita, il mondo sarebbe "un posto meglio"™. Ma torniamo al bloc notes, che era scomodamente nascosto tra una maglietta ed un paio di jeans mentre rigorosamente in piedi affrontavo l'autobus delle otto meno qualcosa che portava a scuola una marea di future teste di cazzo tra le quali si nascondeva sicuramente un potenziale genio (forse il ragazzo cicciottello con una sparata di capelli ricci che leggeva un manga non curandosi di tutto il resto? mah).
C'era una cosa che di sicuro avrebbe meritato di essere immediatamente riportata tra le righe del mio insolito compagno di viaggio, ma che giocoforza ho dovuto conservare nella mente in attesa di trovare il momento adatto per fissarla su carta ed evitare di perderla per sempre nei meandri della mia RAM. Una volta in albergo, ho avuto tutto il tempo di sedermi alla scrivania e sputazzare tre-quattro frasi come promemoria, frasi che ora fanno capolino sulla mia scrivania dove il blocco prende il suo meritato riposo.
Torniamo dunque sulla linea settecentounobarrato che fa tanto Fantozzi ragionier Ugo, dove i ragazzi, anzichè parlare del film visto la sera prima o tessere un qualsivoglia rapporto sociale tra di loro, si infilano gli auricolari e guardano dal finestrino con sguardo vacuo, muovendo gli occhi solo per guardare il lettore quando devono cambiare canzone. "Ai miei tempi" (e Cristo, sono solo 10 anni fa!) il viaggio in autobus era quasi un momento topico della giornata, durante il quale la tua popolarità e la tua vita sentimentale affrontavano una prova di forza di notevole portata. Curiosamente, proprio oggi sto mettendo entrambe in discussione, ma di questo parlerò se e quando avrò voglia. Nel frattempo continuo ad osservare questi schizzetti meno che maggiorenni che si iniziano ad accalcare, in perfetto silenzio, ognuno tenuto in vita dal proprio telefonino o lettore mp3. Mi domando se strappandogli le cuffie ne avrei potuto uccidere qualcuno.
Lo sguardo mi cade su una ragazzina, spannometricamente classificabile come sedicenne, che si butta stanca sul famoso (e mai rispettato) posto riservato alle persone con ridotta capacità motoria, ignorando bellamente il resto del mondo. Pettinatura precisa, unghie precise, trucco preciso. Guarda il cellulare e se ne frega, non socializza con niente che non abbia una playlist, non sorride, non muove la testa al ritmo della musica. Probabilmente sulla schiena ha anche delle filettature per essere avvitata al muro (standard VESA MIS-E M4). La guardo con una punta di tristezza e penso a cosa potrebbe diventare, io che (fesso) nelle donne cerco soprattutto personalità. Mi domando che cosa si possa desiderare a 25 anni quando a 16 già si ha l'aria di chi non ha voglia di fare niente di sensato.
Per evitare di intristirmi ulteriormente, e per scongiurare il pericolo di una denuncia per molestie (presente lo sguardo da stoccafisso che posso avere a quell'ora, considerata la tensione del momento ed aggravato dal fatto che non ho quasi chiuso occhio la sera prima? ecco), provo a pescare qualcos'altro di interessante nel bestiario, che se ne sta bello spaparanzato sui comodi seggiolini bianchi e azzurri (ISO 9001), naturalmente con orecchie e cervello ben tappati da musica che non voglio conoscere per paura di perdere ogni brandello di fiducia nel futuro dell'umanità.
Ulteriore piccola digressione nel passato prossimo: presentarsi a scuola in canottiera un tempo veniva considerato indice di maleducazione o tuttalpiù di sonnambulismo, senza contare l'effetto "ascella violenta"™ che tende a presentarsi nelle ore più calde del mattino rendendo gli ambienti chiusi una via di mezzo tra un Volkswagen Transporter del 1969 ed un camerino del circo Orfei.
Mentre cerco qualcosa o qualcuno, ammesso che in questo caso vi sia differenza, che catturi la mia attenzione, ritrovo la stessa ragazza di prima che parla al telefono con un certo "ciao amore". Qualcosa non mi quadra, perciò volgo lo sguardo sul sedile a prova di deambulazione, solo per constatare che lei è ancora lì. E allora qualcosa non va. Guardo una, guardo l'altra, l'una, l'altra. E cazzo, sono proprio uguali. Cambia qualche tratto somatico, ma sono indistinguibili da una distanza superiore ai 3 metri. Dubbioso, continuo a guardare nelle file più lontane dell'autobus, e capisco un po' tutto. Una, due, cinque, dieci ragazze, tutte con la stessa maledetta pettinatura, lo stesso maledetto trucco, lo stesso maledetto stile nel vestire, le stesse cacatissime cuffie rivettate nel padiglione, la stessa espressione che aveva E.T. dopo aver finito i gettoni del telefono.
Tutto secondo lo standard ISO 7482-1:1998: difetti nelle pelli di capre da gregge.
Capre.
lunedì 3 ottobre 2011
Domani
giovedì 22 settembre 2011
Nel blues dipinto di blues
Qualche anno dopo conobbi una sua cugina o che altro (le parentele, si sa, sono argomento lungo e complicato, specialmente nelle isole), ugualmente dal carattere scintillante, diversamente (ma non meno) carina, e con la voce simile, seppur votata ad una maggiore femminilità. Rischiai davvero di prendermi una cotta per lei, ma la mia timidezza mi precluse ogni tentativo, anche il più remoto. E pazienza.
Non mi rendevo ancora conto di quanto alcune ragazze potessero essere belle anche guardandole con gli occhi chiusi, ma lo avrei realizzato presto. All'incirca un paio di anni dopo, quando mi trovai davanti alla TV a guardare lei:
Che in sè e per sè non è niente male, anzi. Però non aveva niente in più rispetto a tante altre attrici, salvo due cose fondamentali: un personaggio pazzesco (vedere per credere) ed una doppiatrice che... beh, credo sia chiaro. Micaela Esdra, questo il nome della voce di Miss Parker. Una specie di colpo da ko arrivato dritto dall'altoparlante del mio televisore, una scarica capace di farmi provare vibrazioni che partono dal nocciolo dell'anima. Non ricordo bene quando mi ripresi, ma di sicuro sentirla parlare mi fece male, e mi aprì un orizzonte.
Per quanto cercassi, non riuscivo a trovare niente che le mie orecchie potessero gradire maggiormente. Musica, certo, era la soluzione più logica, ma nonostante certe cantanti (famose e non) riuscissero a darmi sensazioni dense e profonde, mi ritrovavo ogni volta a cercare quella frequenza, quella tonalità, quel feeling che mi avrebbero tolto il fiato ancora una volta. Finchè non sentii questa:
Una donna con una voce blues così dovrebbe essere trattata alla stregua di una divinità. Punto.
mercoledì 21 settembre 2011
Cinque odori del mio pony
canzone iraniana italianizzata Cinque odori del... di giotelamon
lunedì 12 settembre 2011
L'incubo nel cassetto
E gli incubi dove stanno? Ovviamente nel cassetto subito sotto, quello dove tengo i caricabatterie per intenderci. Tutti sparsi, con un aspetto del tutto simile a Domo Kun, non stanno fermi neanche un secondo ed hanno una fastidiosa abitudine: quella di appendersi al cassetto dei sogni tutte le volte che lo apro, e sgusciare fuori a mia insaputa. Così, mentre cerco nel fondo del primo cassetto un sogno al quale voglio far prendere aria, qualcuno di questi critters famelici salta giù sul pavimento ed inizia a scappare in giro per casa. Per quanto potente sia la mia scopa elettrica, andarlo a stanare non è facile. E mi devo ritirare a letto sconfitto, ma proprio in quel momento l'incubo si insinua sotto il mio cuscino ed inizia a rumoreggiare nelle mie orecchie. Va a finire che dormo poco e mi sveglio male, mentre il sogno che avevo tirato fuori e poggiato con tanta cura sul tavolo delle cose da fare è tornato impaurito nel suo cassetto, per paura che gli incubi che ho lasciato incautamente scappare lo possano trovare e compiere atti di bullismo su di lui (Ornano docet).
Tra le soluzioni possibili che ho studiato finora per porre rimedio a questo fastidioso inconveniente, le uniche che non ho scartato sono:
- Gabbietta tipo Titti per portare a spasso i sogni;
- Concepimento (o si comprano?) di un sogno particolarmente grosso e incazzoso che faccia da guardia del corpo agli altri;
- Trappola per incubi, ricavata da una vecchia riproduzione giocattolo dell'apparecchiatura dei Ghostbusters unita ad una considerevole dose di aglio e collante per pavimenti.
Sono gradite opinioni al riguardo nonchè soluzioni alternative alle tre citate (che mi sembrano tutto sommato valide, eh).
sabato 10 settembre 2011
Esco dal mio corpo e ho molta paura
Dunque cos'è astrarsi? E' bloccare la propria vita per un breve lasso di tempo e rendersi conto di quello che si sta facendo e del modo in cui si è arrivati a farlo. Nel modo più asettico e imparziale, possibilmente. Come se girandoci di scatto molto velocemente riuscissimo a sorprenderci dietro alle nostre spalle. E' un concetto che fa venire mal di testa, vero? Benissimo. Questo post vi è offerto da Moment Act.
Tornando a noi, o meglio a me, è incredibile il numero di cazzate che ho fatto dal maggio del 2009 a ieri sera, e se vi state chiedendo perchè inizio a contarle da quel mese, è presto detto: quella è stata l'ultima occasione in cui il mio pensiero correva così veloce che ha lasciato il corpo indietro, e preoccupandosi perchè ormai era ora di cena e non lo vedeva più, è uscito a cercarlo. Ovviamente lo stronzo era al bar a piangere sul latte versato, mentre il barista disperatamente asciugava il bancone diventato ormai bianco. Al che il pensiero si è avvicinato al corpo e gli ha messo amichevolmente la mano su un braccio. Dopodichè ha iniziato a stritolarglielo fortissimo dicendo semplicemente: "Tu non hai capito chi comanda qui". Quando si dice la forza della mente.
La morale, ammesso che una ce ne debba essere, è che ad un certo punto si deve avere il coraggio di dire "emmòbbastaveramenteperò". Oggi ad esempio è il giorno buono, anche perchè sento il braccio che viene stritolato MOLTO forte.
Spaciale Cinema - Mobbasta veramente però -... di CAPICOLLO2
venerdì 9 settembre 2011
Cambiare aria, senza aprire finestre.
La vita è un po' così in fondo, stai in un posto finchè non arriva il momento in cui non lo senti più tuo, o non ci sono più i presupposti per rimanerci.
Non sono mai stato persona da cambiamenti ponderati e progressivi, ma piuttosto da strappi e inversioni di tendenza improvvise e inaspettate. Questo cambio di blog non fa eccezione.
Quei pochi lettori che avevo probabilmente saranno anche meno adesso, ma non importa: quello che conta ora è sentire queste pagine più mie di quanto non lo fossero quelle che abbandono. Sarà anche un modo per migliorare, come scrittore e come uomo.
O almeno questo è ciò che ognuno si augura dopo un grande cambiamento.
"Nues in sa malaitta die", letteralmente "nuvole nel giorno maledetto", è un piccolo verso di una canzone dei Tazenda, intitolata "Mamoiada", che parla di questo affascinante paese dell'entroterra sardo spesso affetto da faide che ne turbano la quiete. Queste righe saranno paragonabili a nuvole, a pensieri che anzichè illuminare tolgono la luce e lasciano spazio ad una pioggia di dubbi.
Se volete risposte, il blog del santone è due porte più avanti.